LA CAMERA GIALLA
Da circa otto mesi il
dott. Aldo Mieli trascorreva la notte tra il venerdì ed il sabato nella camera
di una pensione di un anonimo albergo di periferia. Era diventata una sorta di
seconda casa: negli ultimi soggiorni aveva iniziato a lasciare, d’accordo con
il proprietario, anche alcuni oggetti personali. Non erano molti i clienti che
si fermavano a dormire in quell’albergo che dalla statale nemmeno si notava
troppo. Spesso era qualcuno stanco del viaggio, oppure coppie improvvisate senza
un degno futuro. Per chiunque potesse arrivare però la camera gialla era già
prenotata. Si era deciso di usare i nomi dei colori per dare un tocco di
originalità: la scelta non fu molto difficile dal momento che di stanze ve ne
erano appena tre per ognuno dei due piani. Il cortile usato per il parcheggio
era spesso vuoto e non si vedeva mai la stessa macchina per più di un giorno.
Il dott. Mieli usava parcheggiare la sua Nissan nel penultimo posto venendo da
destra, quello sotto la pianta con le foglie che in autunno cadendo, rendevano
eclatanti quei passi che solitamente erano impercettibili. Quel venerdì
pomeriggio, dopo aver salutato il collega che divideva con lui la stanza al
ministero, ed aver raccolto dalla scrivania le carte che aveva appositamente riunito
in una cartellina blu, uscì dall’ufficio e ritirò la macchina al parcheggio
custodito per lasciare la città con la stessa direzione delle altre volte.
Ebbe la sensazione di
essere seguito quando al terzo semaforo consecutivo, in cui si dovette fermare,
il suo sguardo andò a cadere sullo specchietto retrovisore. Notò la stessa moto
con alla guida un ragazzo con il casco integrale completamente nero che si
faceva spazio tra le altre macchine. In un primo momento pensò di essere
vittima di un senso di persecuzione che lo rincorreva da quando aveva trovato
una proiettile disegnato su foglio e lasciato sulla scrivania del suo tavolo in
ufficio. Poi decise di allungare leggermente il tragitto: ma almeno si sarebbe
tolto dalla testa il pensiero. Usci dal percorso abituale, ma senza risultato.
La moto era ancora vicina, anzi l’ardito cavaliere ostentava sicurezza al punto
di non servirsi più di una, due macchine di intermezzo. Improvvisamente svoltò
a destra, ma oramai il dubbio invece che dissolversi aveva reso nervoso il
dott. Mieli, al punto da farlo decidere che all’arrivo a destinazione avrebbe
evitato di passare per la portineria a ritirare la chiave, per utilizzare
invece il duplicato che aveva nella tasca interna della giacca. Da qualche
settimana aveva ottenuto la chiave della porta di servizio, con la quale
evitava di farsi vedere dal custode che ultimamente si stava facendo troppo
curioso con domande che importunavano il silente dott. Mieli. Una lauta mancia
era stato il discorso convincente che aveva utilizzato per arrivare ad ottenere
quello che desiderava. Quel giorno nel parcheggio c’era un furgoncino che
scaricava del materiale che ostruiva l’ingresso al cortile interno per giungere
al parcheggio, così dovette suonare il clacson per farsi sentire ed entrare a
parcheggiare. Nel giro di pochi minuti aveva parcheggiato la macchina al solito
posto, ed era entrato nella camera gialla, lasciandosi alle spalle tutte le
tensioni che lo rendevano così silenzioso anche in ufficio con i colleghi con i
quali aveva condiviso tanti anni di collaborazione. Usava quel rifugio per
incontrarsi con una donna che aveva conosciuto in un viaggio di lavoro. Era
stato tutto subito chiarito tra i due: in cambio della collaborazione avrebbe
ricevuto denaro, e così la sua vita nel giro di pochi mesi poteva davvero
cambiare totalmente regime. Lei entrò come al solito dalla porta di servizio
della stanza con una chiave che le era stata data proprio dal dott. Mieli.
Quello doveva essere l’ultimo incontro, il più importante. Si era arrivati alla
definizione del luogo e poi il denaro sarebbe arrivato. Lui non si fidava di un
bonifico su un conto estero: non voleva lasciare alcuna traccia, ed aveva
preteso quindi denaro contante. L’idea di lasciare tutto e tutti gli aveva
fatto perdere la testa. Fino all’appuntamento precedente era stato preciso e
pignolo nei suoi spostamenti e perfino nei confronti della donna che
incontrava, fino a pretendere che il cellulare venisse spento. Nulla poi delle
loro conversazioni poteva essere registrato. Ci si doveva accontentare solo del
materiale che lui le lasciava alla fine degli incontri. La donna bruna, che
fino a quel momento si era dimostrata così ben disponibile ad accettare tutte
le richieste, arrivati oramai alla giornata definitiva, dopo aver ottenuto
anche l’ultima notizia utile a racchiudere le informazioni finora ricevute,
decise che l’epilogo era oramai giunto: tirò fuori dalla borsa una pistola con
il silenziatore, la puntò alla nuca del dott. Mieli e sparò due colpi che lo
fecero cadere a terra. I sogni erano svaniti con lui.
La signora tanto
affascinante quanto professionale, ripulì la stanza in modo che non si potesse
capire del suo passaggio e chiamò al cellulare il suo complice per farsi venire
a prendere. La moto nel giro di un minuto arrivò nella parte posteriore della
pensione, vicino alla porta di servizio. Nel frattempo aveva chiuso
dall’interno dando una mandata alla serratura ed era uscita dalla finestra del
bagno: essere al piano terra stavolta era veramente una notevole soluzione
architettonica.
La polizia arrivò
avvertita da una telefonata anonima. La notizia era arrivata nel frattempo
anche alla redazione di un noto giornale locale e quindi anche la stampa arrivò
nei pressi del luogo del delitto. L’ispettore Mariani, faticò non poco, a farsi
aprire senza un mandato la camera gialla. La scena del delitto non aiutava.
Tutto era stato ripulito con attenzione.
I servizi segreti, gli
stessi che avevano organizzato il tutto, avevano anche già predisposto il
comunicato stampa secondo il quale l’omicidio era in realtà stato soltanto un
banale omicidio passionale. L’ispettore di polizia che aveva avuto incarico di
risolvere il caso venne chiamato dai suoi superiori e fu consigliato: la pista
da seguire era quella del delitto passionale irrisolto. L’idea di obbedire,
senza poter nemmeno effettuare dei rilievi da parte della scientifica, fu
accettata. Le indagini le proseguì facendosi aiutare da un infiltrato che gli
doveva un grosso piacere, ma la mancanza di prove efficaci lo fecero desistere.
Il tarlo restò sempre nella mente del commissario.